6 gennaio 2015

Il Consiglio d'Egitto, di Leonardo Sciascia

Il Consiglio d'Egitto, di Leonardo Sciascia

Anno di prima pubblicazione: 1963

Edito da: Adelphi

Voto: 6,5/10

Pagg.: 170

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Nella Sicilia degli ultimi decenni del Settecento, si intrecciano le vicende, realmente accadute, dell’abate Giuseppe Vella e dell’avvocato Francesco Paolo Di Blasi.

Il primo, falsario e impostore, traduce dall’arabo una biografia di Maometto spacciandola per una storia della Sicilia al tempo dell’occupazione islamica (il Consiglio di Sicilia). Si inventa poi un’altra opera, quella che da il nome al libro (il Consiglio d’Egitto), fino all’inevitabile scoperta dell’inganno.
Il secondo, fervente repubblicano, giacobino e indipendentista, viene arrestato per le sue idee e per un tentativo di congiura ai danni del Regno.

Le vicende dei due protagonisti si incrociano in vari punti, in particolare in un dialogo, tra i più belli del libro, in cui si collega l’attività dell’abate Vella alla situazione socio-politica dell’isola, in una sorta di morale di fondo:
«In effetti» disse l’avvocato Di Blasi «ogni società genera il tipo d’impostura che, per così dire, le si addice. E la nostra società, che è di per sé impostura, impostura giuridica, letteraria, umana... Umana, sì: addirittura dell’esistenza, direi... La nostra società non ha fatto che produrre, naturalmente, ovviamente, l’impostura contraria...».
«Voi spremete filosofia da un volgarissimo crimine» disse don Saverio Zarbo.
«Eh no, questo non è un volgarissimo crimine. Questo è uno di quei fatti che servono a definire una società, un momento storico. In realtà, se in Sicilia la cultura non fosse, più o meno coscientemente, impostura; se non fosse strumento in mano del potere baronale, e quindi finzione, continua finzione e falsificazione della realtà, della storia... Ebbene, io vi dico che l’avventura dell’abate Vella sarebbe stata impossibile... Dico di più: l’abate Vella non ha commesso un crimine, ha soltanto messo su la parodia di un crimine, rovesciandone i termini... Di un crimine che in Sicilia si consuma da secoli...».

Di Blasi verrà condannato a morte, insieme ad alcuni complici. Una condanna che per l’avvocato è anche una beffa:
la pena più forte l’avrà da questa distinzione che il Tribunale ha voluto fare... Credeva nell’uguaglianza, si batteva per essa: ed ecco che gli dànno la mannaia, e ai suoi compagni la forca”.
Una sottigliezza che riescono a cogliere gli stessi popolani, e che Sciascia riporta in un altro dialogo molto arguto:
«Noi serviamo le granite e loro le succhiano... La forca per noi e la mannaia per loro».
«E che volete mettere? La soddisfazione che c’è a farsi tagliare la testa...».
«È come un piatto di carne in confronto a un piatto di fagioli».
«No, non è questione di sostanza: è questione di distinzione».

Il Consiglio d’Egitto è un libro sicuramente interessante, perché racconta di storie realmente accadute, utili a comprendere il clima sociale della Sicilia di fine Settecento, quando in Francia sbocciava la Rivoluzione e negli altri Paesi d’Europa si cercava di contrastarne l’espansione.
È anche un'accusa all’élite culturale dell’epoca, quella dei presunti dotti, pronti a farsi abbindolare dal primo venuto (magari per convenienza).
Nelle vicende dell’abate Vella vi è inoltre un avvertimento contro le mistificazioni a fini politici e strumentali (un pericolo sempre ricorrente, ed infatti non è escluso che l'Autore volesse lanciare velatamente un'accusa alla situazione dei suoi giorni).
Ciò che invece non mi ha convinto di questo libro, pur scritto con una prosa attenta e scorrevole, è quella che ho avvertito come una certa incapacità di catturare l’attenzione del lettore, una certa lontananza da esso, che si avverte nella maggior parte della narrazione.
Un libro che resta interessante soprattutto per i lettori siciliani, per approfondire la storia della loro terra, e francamente meno per tutti gli altri.
Non il miglior romanzo di Sciascia, ma tutto sommato in linea con il suo inconfondibile stile, preciso e conciso.

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