16 febbraio 2016

Il matematico che sfidò Roma, di Francesco Grasso

Il matematico che sfidò Roma. Il romanzo di Archimede, di Francesco Grasso

Anno di prima pubblicazione: 2014

Edito da: 0111 edizioni

Voto: 8/10

Pagg.: 186

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Sulla vita di Archimede di Siracusa, uno dei più grandi scienziati e matematici dell'antichità, aleggia ancora oggi un alone di mistero.
Se, da un lato, sono ben note alcune sue scoperte nel campo della fisica (il Principio che porta il suo nome, la leva, ecc.) e in quello geometrico-matematico (soprattutto la misura del cerchio), assai più misteriosa è la sua attività di inventore, in particolar modo quella degli ultimi anni, quando si narra che la sua fervida mente si mise al servizio di Siracusa per resistere all'assedio dei Romani durante la seconda guerra punica.

Quest'opera - che, come si intuisce fin dal sottotitolo, vuole essere prima di tutto un romanzo, senza pretese di verosimiglianza storica - è per buona parte ambientata proprio negli anni che precedettero la presa di Siracusa da parte del console Marcello.
Il libro inizia con un prologo in cui si racconta della scoperta della tomba di Archimede da parte di Cicerone, quello che Carl Boyer definisce provocatoriamente come il più grande contributo (forse l'unico) dato alla matematica dal mondo dell'antica Roma.
Si passa dunque alla narrazione degli istanti immediatamente successivi alla presa della città da parte dei romani, con la cattura di un uomo di nome Dinostrato, che si scopre essere stato prima il servo e poi l'assistente di Archimede.
Con l'espediente di un lungo racconto che Dinostrato fa al console Marcello della vita del suo padrone, inizia il romanzo vero e proprio, sotto forma di un lungo flashback.
La storia è divisa in due filoni, che corrono paralleli per tutto il libro, alternandosi di capitolo in capitolo: il primo racconta gli anni passati da Dinostrato al servizio di Archimede (227-215 a.C.), un espediente che serve a presentare gradualmente il matematico in tutto il suo eclettismo e la sua stravaganza di uomo di scienza sbadato e preoccupato soltanto dai suoi calcoli e dai suoi progetti (questa è la parte in cui l'autore infonde maggiormente la sua creatività, essendo oscuri i dettagli sulla vita privata del grande scienziato greco). Il secondo filone narrativo (214-212 a.C.), che si alterna costantemente al primo, racconta invece le fasi dell'assedio romano e di come la città siciliana riuscì a resistere per circa due anni al tentativo di invasione.
Questa parte del romanzo è quella che ha potuto contare su un maggior numero di fonti (trattandosi di un episodio storico ben documentato), anche se parecchi dubbi restano su quali e quante furono le invenzioni belliche create da Archimede per resistere all'assedio.
Dalla semplice applicazione delle leggi matematiche ad armi già esistenti, le catapulte, che divennero pressoché infallibili grazie ai calcoli dello scienziato siracusano, alla creazione di armi nuove e micidiali come la temibile manus ferrea, quella che probabilmente fu una sorta di gru utilizzata per sollevare e rovesciare le navi nemiche che si spingevano vicine alle mura del porto di Ortigia.
Discusso, invece, è l'effettivo utilizzo dei celebri specchi ustori, con i quali sarebbero state incendiate le navi romane utilizzando la luce solare. L'autore propone una contro-teoria interessante e suggestiva (ma, come detto, difficile da riscontrare): Archimede avrebbe effettivamente ideato gli specchi ustori, ma resosi conto dell'irrealizzabilità degli stessi (a causa del peso e delle dimensioni, nonché dell'enorme quantità di bronzo che si sarebbe dovuta utilizzare), non li fece mai costruire. Bastò tuttavia mettere in giro la voce – affinché arrivasse alle spie romane – della possibilità di utilizzarli, qualora i romani si fossero spinti nelle vicinanze del porto. Gli specchi ustori come deterrente, dunque, con i romani che non avevano la minima intenzione di provarne l'efficacia dopo aver già saggiato la micidiale manus ferrea.

Nel complesso, quello di Francesco Grasso, scrittore semi-professionista due volte vincitore del premio Urania, è un buon romanzo storico, molto coinvolgente e ben scritto.
Forse ha il difetto di non partire benissimo, ma quando inizia a carburare è davvero difficile staccarsi dalle sue pagine.
Un romanzo che probabilmente poteva meritare un palcoscenico editoriale più importante, e lo sta a dimostrare il buon successo di pubblico che ha avuto, grazie al sempre efficace strumento del passaparola.
Per quanto riguarda l'attendibilità storica, fatte le già citate premesse relative all'oscurità che aleggia sulla vita e sulle invenzioni belliche di Archimede, sicuramente non si può sostenere l'inverosimiglianza del racconto.
Vero è che il romanzo liquida con forse eccessiva superficialità alcuni temi fondamentali (come quello strategico delle alleanze, con Siracusa che volta la faccia all'ex alleato romano per schierarsi con Cartagine). Ma del resto non siamo di fronte ad un saggio storico, e dunque si tratta di omissioni su cui si può tranquillamente sorvolare, considerata la principale finalità dell'opera che è chiaramente quella di intrattenere.
Quello che invece risulta un po' pretenzioso, in certi passaggi del romanzo, sono alcune uscite che cercano il colpo ad effetto basandosi su presunte spiegazioni etimologiche che tuttavia non trovano riscontro (artiglieria, che deriverebbe dall'artiglio, ossia la manus ferrea costruita da Archimede; nonché l'espressione delfino – nell'accezione di successore – che l'autore riconduce al passaggio, nelle monete di Siracusa, dalla rappresentazione di un delfino a quella dell'erede di Gerone).

4 commenti:

Unknown ha detto...

Anzitutto grazie per la recensione. Naturalmente non sono d'accordo su tutte le tue considerazioni, in particolare sulla chiusa finale, ma indubbiamente la lettura è stata attenta e il giudizio ponderato. Apprezzo, spero che continuerai a seguire la mia narrativa. FG

Vincenzo ha detto...

in cauda venenum :)
a parte le battute, quelle due frasi mi avevano colpito molto durante la lettura ed infatti ero andato ad approfondire, non trovando però alcun riscontro (semplificando: "artiglieria" - che è il termine etimologicamente più controverso - sembra derivare da Ars, ossia l'arte della guerra, mentre artiglio deriva da arto, quindi la radice non sembra comune; quanto a "delfino", nella sua accezione di successore, l'etimologia sembra più certa ed è riferibile ai delfini presenti nello stemma nobiliare della casata dei Conti di Vienna sul Rodano, da cui anche il nome della provincia del Delfinato)... ma magari non ho approfondito abbastanza...
in ogni caso, a parte queste cose, che restano delle piccolezze, nel complesso il mio giudizio sul romanzo è più che positivo, come penso emerga dalla recensione!

Unknown ha detto...

Caro Usbek,
torno, a distanza di un anno dal nostro scambio di commenti, per chiedere se ti può interessare leggere il mio nuovo romanzo storico I DUE LEONI, ai fini di un'eventuale recensione. In caso, sarei lieto di inviartene una copia. Fammi sapere.
F.Grasso

Vincenzo ha detto...

Buonasera Francesco,
grazie dell'offerta, lo leggerò con attenzione e dedizione, come ho fatto per Il matematico che sfidò Roma, libro di cui, a distanza di un anno, conservo ancora un ottimo ricordo (e ti dirò che mi è capitato più di qualche volta di parlarne con amici e conoscenti).
Ti lascio la mia e-mail:
lultimospettacolo@yahoo.com